Come si vedrà, in questa seconda parte la tesi nuova che si ricava da questa lettura complessiva della sequenza in cui quella del peccato originale viene inserita, è appunto ciò che si è visto nel titolo, ossia che il peccato originale stesso sia stato un male sì, ma necessario per l’uomo (questo tratterà in particolare la puntata) e un rischio calcolato per Dio.
A questo punto, forse, gli amici filosofi storceranno il naso, pensando: «ecco qua un’altra che ha scoperto l’acqua calda», mentre quelli teologi scrolleranno tristemente il capo pensando invece: «ecco qua un’altra che considera inutile tutta la storia della salvezza», ma, secondo me, il racconto biblico del peccato originale è l’ultima tappa di un percorso simbolico di conoscenza verso la consapevolezza e la comprensione di se stessi.
Questo percorso inizia con l’idea del giardino dell’Eden, che è una grande metafora simbolica iniziale dell’evoluzione umana e di come, in seguito, Dio conduca l’uomo dalla conoscenza del mondo esterno, ossia di tutte le piante del giardino e degli animali che il Creatore stesso porta all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati, dice il testo (infatti mettere il nome alle cose è forse la forma più alta di conoscenza ed evoluzione perché presuppone anche la presenza di un linguaggio e di una lingua con cui indicare i vari nomi), fino alla consapevolezza e alla conoscenza di se stessi, che, non a caso, è simboleggiato dall’albero della conoscenza del bene e del male, nonché della piena padronanza di sé, che si trova appunto al centro del giardino, proprio perché è quello l’obiettivo finale della conoscenza.
Vicino ad esso si trovava, come già accennato, l’altro albero, quello della vita eterna che avrebbe fatto scoprire all’uomo la propria natura divina ed immortalità, che sarà poi l’obiettivo della storia della salvezza, ma per questo, l’uomo non era ancora assolutamente pronto: ecco perché, al momento della cacciata dall’Eden, Dio ne vieta ad ogni costo il godimento all’uomo stesso, mettendo a guardia del giardino i cherubini e una spada folgorante munita di fiamma, che sembra tanto un cannone laser di quelli che si vedono nella saga di Guerre Stellari, affermando contemporaneamente, nel versetto di Gen. 3,22, che: [...]«Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!.»[...].
Ora però, succede che la consapevolezza di se stessi, la conoscenza si rivela soprattutto un male perché ti fa conoscere i tuoi limiti, il tuo essere un animale finito, soggetto alle malattie e alla morte, capace di un male molto più grande di quello istintivo degli altri animali perché aiutato anche dall’intelligenza, in una parola, come dice il testo biblico, ti fa vedere che sei nudo, ossia quello che è appunto il primo effetto del peccato originale, che comporta come reazione la paura e la fuga di fronte agli eventi contrari, come farebbe ancora un animale sempre prigioniero del proprio istinto ( «[...]7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; [...]»).
Ecco perché Dio, Essere amorevole per eccellenza, come e più di una Madre premurosa, voleva risparmiare alla Sua creatura tutto questo male, questo dolore e le aveva quindi proibito di avvicinarsi all’albero (17ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti"),ma l’istinto naturale dell’essere umano, ossia la curiosità, quello che fa dire all’Ulisse dantesco: « Fatti non foste a viver come bruti / ma a seguir virtute e canoscenza » e che, a quanto pare, la donna possiede molto più sviluppato dell’uomo (infatti la molla della conoscenza agisce molto più in Eva, forse a causa della maternità, che la spinge a chiedersi che cosa succede dentro di lei), Gli fa capire che la consapevolezza di sé e la conoscenza sono necessari, indispensabili per lo sviluppo del genere umano: («[...]"Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. [...]» ).
E come appunto quella stessa Madre premurosa (Dio infatti, come disse il freschissimo Beato Giovanni Paolo I, riassume in sé la doppia natura paterna e, soprattutto, materna), Egli sa che il bambino deve sbucciarsi le ginocchia per imparare a camminare o andare in bicicletta, cosicché permette che ad occuparsi di far terminare all’uomo il percorso verso la piena consapevolezza di sé, verso questo male necessario, come si diceva nel titolo, sia appunto il serpente, non potendosene occupare in prima persona, proprio perché, per natura, incapace di fare il male.
Il serpente, quindi, solo nella cultura ebraico-cristiana è venuto ad assumere, per questo motivo, una simbologia negativa. Infatti in quelle precolombiane rappresenta addirittura il principale dio creatore, mentre in quella greca è semplicemente il simbolo della conoscenza medica e farmaceutica, ossia il caduceo, il bastone di Esculapio con due serpenti alati e attorcigliati; quest’ultimo, da bravo piazzista, evidenzia solo gli aspetti positivi della sua idea (come del resto accadde con Maria e l’arcangelo Gabriele: cfr. il mio articolo su “Immi” La proposta dell’arcangelo Gabriele) e, per stimolare ancor più l’essere umano, gli prospetta il fatto che, con la coscienza e la piena conoscenza di sé, sarebbe diventato come Dio o comunque qualcosa di simile («[...] 4Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". [...]»)
Ecco, l’inganno del serpente-demonio, che il testo biblico definisce “la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio” e parla come tutti gli animali simbolici degli antichi racconti, allo stesso modo di Esopo (ricordate il Sir Biss del Robin Hood della Disney?), sta proprio in questo, che la conoscenza e la consapevolezza di sé (perché lo stesso Dio ammette candidamente, nel già citato Gen. 3,22, che: “[…] "Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. […]), non fanno sparire affatto i propri limiti e che la scoperta dell’immortalità e della propria natura divina avverrà solo con la storia della salvezza.
Un altro effetto del peccato originale, oltre alla fuga reale dagli eventi avversi, è costituito da quella psicologica della fuga dalle proprie responsabilità, in modo che, leggendo il testo biblico, si assiste anche all’involontariamente comico scaricabarile di Adamo che scarica su Eva e perfino sul Creatore la colpa del peccato («la donna che Tu mi hai posta accanto...»), nonché di Eva, che la scarica sul serpente.
Dio reagisce a tutto questo, come se si aspettasse questi effetti, andando, guarda un po’, proprio allora a passeggiare nel giardino e interrogando l’uomo sull’accaduto e, proseguendo con la metafora della mamma premurosa, caccia via i sassolini responsabili della sbucciatura del bambino, senza risultati pratici su questi ultimi, ossia impartisce una “punizione” nei confronti della donna, dell’uomo e del serpente che è, in qualche modo, assai blanda e si limita a poco più di una constatazione, ovvero che la donna dovrà partorire con dolore (ma ciò è normale perché ormai ha acquisito la consapevolezza di sé ed inoltre, predicendole, purtroppo, i secoli e secoli di maschilismo: « [...] egli ti dominerà".[...]»), che l’uomo dovrà lavorare con sudore (ma proprio grazie al lavoro egli svilupperà la propria intelligenza e le arti e le scienze che da essa derivano) e che, oltre ai serpenti che vivono sugli alberi, ora vengono ad aggiungersi, dopo la “condanna” per aver tentato la donna, anche la specie che striscia sul proprio ventre e mette in pericolo la vita degli esseri umani e delle donne in particolare: le prime raccoglitrici e cercatrici di erbe e frutti, ne avevano, infatti, un atavico terrore. («[...]15Io porrò inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe
e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno" […]»).
(continua)
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