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Una riflessione sul ferragosto ancora oggi conosciuta e diffusa

Pasolini pubblicò su “Il Mondo” (e poi nel libro “Lettere Luterane”) una risposta sul ferragosto all'allora Presidente della Repubblica Leone

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«L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. 

Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti».

Questo lo stralcio più famoso, diffuso ampiamente sui social e prima ancora sui blog in occasione di ogni ferragosto, della risposta che Pier Paolo Pasolini scrisse all'allora Presidente della Repubblica Leone. Un articolo che fu pubblicato su “Il Mondo” e poi ripreso e pubblicato nelle «Lettere Luterane» pubblicate nel 1976 dalla casa editrice Einaudi.

Resistono in molte comunità le celebrazioni e le devozioni mariane e molte sono le tradizioni legate alla giornata di oggi. Ma, sempre più, è una giornata soprattutto considerata per le gite fuori porta, di turismo, qualcuno direbbe di consumo. Quel consumismo che il più grande intellettuale del novecento, Pier Paolo Pasolini, criticava e contestava già negli anni settanta. Nell’epoca dei social è ormai usuale, ancor di più in occasioni particolari come le festività o oggi, trasformare tutto in quelli che vengono chiamati meme, immagini con poche frasi citate. Questo stralcio di Pasolini è, indubbiamente, tra i più diffusi

«Signor Presidente, ho letto con molta emozione il resoconto sia pur frammentario e divagante delle sue conversazioni di Ferragosto – esordisce Pasolini - lei vi si esprimeva con l’ansia e il senso di impotenza di un qualsiasi cittadino italiano, la cui visione delle cose non può essere che parziale» e «ciò dava nobiltà “democratica” alle sue parole» perché «La rendeva “uno di noi”» ed «è questa la ragione per cui le scrivo questa lettera». Nel lungo articolo Pasolini riflette sull’Italia degli anni settanta, paragonandola a quella post bellica del 1945, sulla situazione politica e sociale criticando aspramente il regime politico dell’epoca e paragonando - «io che posso permettermi di non essere prudente» scrive riferendosi alla prudenza istituzionale del Capo dello Stato – gli italiani immersi nelle consumistiche vacanze a marionette. 

 

 

 

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