L’Asenelle d’ore.it - Storie dal fiume e dalle sue sponde – Marietta, la servetta prigioniera

Antonella Iannucci

redazione
01/09/2024
Cultura
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Questo racconto, sebbene ambientato, come gli altri, nella prima metà del Novecento, riporta con il suo sviluppo e le sue articolazioni, alle più cupe atmosfere ottocentesche se non addirittura medievali nel loro aspetto peggiore di sopraffazione, di abuso del potere economico e sociale, nonché di violazione della libertà e dignità umane, in particolare del genere femminile.Una bruttissima storia, insomma, che, da una parte si vorrebbe tacere per non danneggiare troppo la reputazione del paese,e dall’altra, invece, si ha il dovere di raccontare, per rendere in qualche modo giustizia alle sue tante vittime.

  Già, perché in questa storia i personaggi principali sono: Ugo, giovane rampollo di una famiglia di notabili del nostro circondario, sua madre Teresanna, una donna non alta e non magra, con occhi neri e furbi, un’astuzia che però non era limitata da confini morali, ma il cui esercizio era regolato solo dal miglioramento della propria condizione sociale, fatto che l’aveva portata negli anni addietro ad “accalappiare” il padre di Ugo e raggiungere così il rango signorile (una gran signora, dunque, amante dei cappelli, dei gioielli e delle collane di perle in particolare, lunghe fin quasi alle ginocchia, da poter attorcigliare in diverse maniere, a cui, forse, evidentemente, il proprio passato oscuro non aveva insegnato nulla);Marietta, la giovane servetta di casa, nata e cresciuta a palazzo, visto che la madre di lei da tempo vi prestava servizio, la quale era stata, dunque, anche compagna di giochi per Ugo, finché quest’ultimo non venne mandato nel collegio provinciale per svolgervigli studi ginnasiali e che era diventata una bella fanciulla, una bella morettina, sia per la carnagione, sia per gli occhi, occhi grandi e dolci; i due bambini che sarebbero arrivati in seguito ed, infine, il già accennato marito di Teresanna, che esiste, mapraticamente è come se non ci fosse, essendo, più che altro, una presenza fantasmatica impotente, ovvero, che, come si dice dalle nostre parti, “ninconde enn’accuse”.

  Ugo, dunque, era cresciuto come il principino della casa a cui tutto era dovuto, e a cui non si poteva dire di no, perché caso mai questo malaugurato evento di lesa maestà fosse accaduto, lui lo avrebbe subito detto a mammà, anzi, à maman, come si diceva in francese, la lingua di moda all’epoca, la quale avrebbe subito preso provvedimenti adatti a punire quella persona così pericolosamente ardita.

  Bene, il nostro Ugo, un ragazzino di bell’aspetto, di carnagione scura, con capelli ed occhi neri e vivacissimi, con un paio di baffetti incipienti (i mustaccelle della canzone napoletana «Guaglione»)che all’inizio della nostra storia, era un adolescente scalpitante in preda agli ormoni della crescita e quant’altro, bramoso di nuove esperienze ed avventure, era rimasto affascinato dal regime fascista e da ciò che esso prometteva nel campo delle conquiste militari, a cui avrebbe voluto tanto partecipare, magari arruolandosi come volontario in partenza per le lontane colonie africane. Per il momento, però, doveva prendere per forza quella licenza liceale e poi quella dannata laurea a cui i suoi, specialmente mammà, tenevano molto. Mentre pensava a tutto questo, in quelle lunghe giornate estive in cui era tornato a casa dal collegio e in quella successiva, prima dell’iscrizione all’Università, arriva pure cominciato a vedere con occhi diversi Marietta, la quale, da una qualunque bambina con cui giocare, si era come trasfigurata, diventando con i suoi lunghi capelli neri e suoi occhi dolci, una principessa da conquistare e da tenere per sé contro tutti e contro tutto. Aveva dunque iniziato anche ad importunare Marietta, prima con scherzi innocenti, come scioglierle fiocchi delle trecce o i nastri con cui raccoglieva i suoi lunghicapelli neri, o, ancora, sollevandole la gonna di soppiatto mentre stendeva il bucato, fino a rubarle qualche bacetto con la scusa di aiutarla a portare carichi pesanti.

  Marietta, di fronte a tutto ciò, era piuttosto confusa: da una parte, ai suoi occhi di fanciulla adolescente, le attenzioni di Ugo non potevano non farle piacere perché si sentiva desiderata ed importante per qualcuno; dall’altra, però, le risuonava nella testa quello che le aveva detto la mamma nel nostro dialetto: «Feja mò, ‘nt’ ammestecà naquolle nghe li segnure, peccò t’aretruve sulamende ‘mmezz’a li uaje; ‘ssa  ‘ggende, ‘sseje dinne na mine, te se toje tutte luvracce!!!».A questa incertezza mentale corrispondeva l’indecisione nei comportamenti, visto che talvolta faceva i cosiddetti “occhi dolci” ad Ugo,sgranandogli in faccia i suoi occhioni neri ed incoraggiandone così le speranze, talvolta, invece, fuggiva a gambe levate quando lo vedeva arrivare, oppure si faceva sostituire da qualche altra donna di servizio nel lavoro che stava svolgendo.

Tutto ciò fino a quando un brutto giorno (o un bel giorno, secondo il punto di vista di Ugo), complice la calura estiva e un attacco ormonale più forte di tutti gli altri, successe quello che non sarebbe dovuto accadere, cioè, parafrasando il poeta Lucio Dalla di «4 marzo 1943»: […] prese alla servetta sul selciato/ l’ora più dolce prima di essere cacciato […]. Cacciato da chi? Prima da tutta la servitù accorsa alle urla di Marietta, che cercò addirittura di linciare Ugo per dagli così una bella lezione, servendosi di ramazze, rastrelli e quant’altro aveva a disposizione, e poi dalla madre Teresanna che, richiamata da quel putiferio e da quel vociare mentre stava tranquillamente leggendo un libro al fresco della veranda, ebbe il suo daffare prima di riuscire a calmare la servitù, far portare via la piangente, spaventatissima, dolorante e sanguinante Marietta ed infine rimproverare aspramente Ugo, facendolo chiudere in camera sua.

  Occorreva reagire immediatamente. Lo richiedeva l’onore e la rispettabilità della Casa. La sera stessa venne tenuto un consiglio di famiglia per valutare l’incresciosissimo episodio«(Uno stupro, nientemeno!!! Vergogna, vergogna, vergogna!!!»,esclamò inorriditain quell’occasione una zia nubile progressista, à la page) durante il quale si decise:

  • L’allontanamento di Ugo dal paese; il giovanotto venne spedito nella Capitale a frequentare la facoltà universitaria decisa per lui;
  • L’allontanamento dal palazzo anche di Marietta, la quale, con la scusa di aiutarla a riaversi da quanto le era successo, fu mandata, insieme con la madre, in una casetta vicino un pastificio oggi abbattuto.

  Quella casetta divenne purtroppo, pian piano la sua prigione, soprattutto da quando scoprì di essere rimasta incinta, poiché, quando la cosa la venne a sapere Teresanna, le fu proibito di farsi vedere in giro in stato interessante, col pancione insomma, con il risultato che il vitto le veniva fornito a domicilio da qualcuno, forse il maggiordomo del palazzo ( che, si sa, è sempre al corrente, chissà perché, degli affari della padrona), e che la madre di Marietta morì poco dopo di crepa cuore per il dispiacere e le preoccupazioni.

  Ma non finisce qui, perché, quando nacque il bambino, un bel maschietto, con la scusa, ancora, di farlo battezzare, Teresanna commise l’ennesima crudeltà di questa storia: rapì il figlio di Marietta e lo portò al palazzo, in modo che la disgraziata servetta non lo rivide più, mentre al bambino venne detto, più tardi negli anni, che sua madre era morta di parto.

  Intanto Ugo, nel suo esilio dorato della Capitale cercava in qualche modo di distrarsi, studiando, andando con gli amici a spasso, nei locali o alle feste organizzate dagli studenti, nonché ai raduni predisposti dal regime attraverso le relative organizzazioni giovanili, ma non riusciva proprio a farlo: gli occhioni neri e dolci di Marietta lo  perseguitavano,  specialmente quando andava a letto, dopo essersi ritirato da quelle feste nella propria stanza in affitto, quegli occhi gli si mettevano davanti e non riusciva a toglierseli di torno, fino a quando non crollava e si addormentava per la stanchezza; insomma erano diventati proprio quasi un’ossessione.  Avrebbe voluto tanto tornare a casa per rivederla e tentare così di liberarsi da quella ossessione che lo perseguitava (con tutti i suoi studi non aveva ancora deciso se quello era amore per Marietta o una sua semplice volontà di possesso, com’era per tutte le cose che voleva e che non potevano essergli rifiutate). Ma come fare? Non poteva rientrare senza aver preso prima: quella maledetta laurea che interessava tanto ai (suoi specialmente a mammà). E allora? Decise, prima in cuor suo e poi comportandosi di conseguenza, di fare al più presto tutti gli esami previsti per prenderla, qualunque fosse il voto attribuitogli, in ciascun esame, in modo da poter sbattere in faccia ai suoi quel “pezzo di carta”, come se fosse un lasciapassare, un passaporto da esibire davanti al portone del palazzo.

  Ciò accadde puntualmente dopo qualche anno, quando Teresanna, di nuovo alzando gli occhi da un libro che stava leggendo in veranda, vide spuntare Ugo in lontananza sulla strada del paese. Non aspettava di vederselo tornare così presto, in quel mattino d’inizio estate, e sinceramente pensò anche che fosse successo qualcosa di grave là, nella Capitale, cosicché gli fece aprire subito per poter parlargli al più presto. Ma Ugo, quella volta, se la prese proprio comoda: con la scusa di essere stanco del viaggio, andò nella propria stanza a riposare e non lo rivide più, fino all’ora di cena.

  La cena trascorse serena, o quanto meno in un’apparente serenità, con Ugo che raccontò ai suoi (c’era anche il padre quella sera) di come si fosse appena laureato nella Capitale ed avesse quindi invitato gli amici in un locale alla propria festa, ma di come poi si fosse affrettato a ripartire perché voleva tanto rivedere il paese, la sua gente e la sua famiglia (quest’ultima battuta di Ugo ebbe lo strano effetto di far drizzare il sopracciglio e, soprattutto, le antenne interne di Teresanna). Alla fine della cena, dopo che il padre di Ugo si ritirò nel suo studio per fumare il sigaro (un’abitudine che non era mai andata giù alla moglie) e dopo che la servitù ebbe sparecchiato, Ugo e Teresanna restarono da soli, in piedi, nella sala da pranzo vuota, ciascuno ai due capotavola, e si affrontarono in un duello, alla spaghetti-western di Sergio Leone,con lo sguardo diritto, l’uno negli occhi dell’altra, quasi fossero Clint Eastwood e Lee Van Cleef nel film Il buono, il brutto e il cattivo.

 «Mamma, dov’è Marietta?» disse Ugo, glaciale, sparando direttamente il primo colpo in faccia alla madre e poi andando verso la veranda.

Teresanna, che non si aspettava certo quella domanda così diretta, accusò il colpo, raggiunselentamente, con passofelpato,Ugo al balcone, ma rispose contrattaccando, con asprezza: «Non lo so. Non vado certo ad impicciarmi delle sorti della servitù. Se proprio vuoi saperlo, domandalo al maggiordomo!».

  «Mamma, te lo dico una seconda volta, dov’è Marietta?», ribatté stizzito ed indispettito Ugo, piantandosi a gambe piuttosto larghe vicino alla veranda, ma sempre di fronte alla madre, facendole così capire che,da una parte fosse ancora interessato a lei e dall’altra che sapesse qualcosa in più sulla sua sorte, anche se questa seconda circostanza non fosse affatto certa.

«Figlio mio, lasciala perdere, non era e non è per te!!!», replicò Teresanna con voce tranquillizzante cercando di mettergli una mano sulla spalla per calmarlo e blandirlo allo stesso tempo.

  «No, mamma,no, non ci siamo proprio!!!» Ribatté subito Ugo, girandosi di colpo verso il balcone ed evitando quindi il gesto della madre, ancora più indispettito, quasi, anzi proprio adirato (oggi si direbbe inc…avolato o peggio). «Mi devi dire dov’è andata e che cosa ne è stato di lei dopo quel ch’è successo!!!».

  «Vuoi davvero sapere cosa è successo?!?», sbottò finalmente Teresanna, a cui, più che le parole del figlio, aveva fatto perdere la trebisonda quel gesto che riteneva estremamente offensivo verso di lei, «è successo che dopo il fattaccio ho dovuto allontanare la tua Marietta dal palazzo in quella nostra casetta vicino il pastificio, - con disprezzo - garantendo però a lei e alla madre il vitto necessario, è successo che dopo un anno mi sono dovuta far carico del bastardino che era nato, portandolo al palazzo, con relativa altra bocca da sfamare».

  «Ah, sì, e magari vorresti anche un applauso, vero mammina?!?», disse ironicamente, ad alta voce e subito dopo con estremo disprezzo Ugo.«Ringrazia il Cielo che sono troppo educato per metterti le mani addosso!!!». Dopo di ciò, lasciò immediatamente la sala e si ritirò nella sua stanza, lasciando la madre là, da sola in mezzo al locale come una statua di sale, prima stordita, poi indispettita ed in fine inviperita per le parole e i gesti del figlio, a cui però non ebbe né tempo, né modo di replicare.

 

  Per circa un mesetto dopo quel duello, le cose a palazzo sembravano essersi rimesse sui binari del solito tran tran quotidiano: Ugo cercava di evitare ogni contatto con la madre al di fuori dei pranzi e delle cene di famiglia, in cui, peraltro, si doveva mangiare quasi in religioso silenzio, e per il resto aveva riattivato il circuito dei pochissimi, sceltissimi amici locali, con cui andava a caccia, nelle terre e nella villa di campagna, al mare in un’altra villetta della comitiva, oppure nel circolo di conversazione del paese, dove si tratteneva fino a tarda ora.

Teresanna, invece dopo quel dolorosissimo scontro col figlio, da una parte avrebbe voluto in qualche modo riallacciare i rapporti, dall’altra, però, aveva il proprio orgoglio ferito (o dignità, secondo i punti di vista) che reclamava e glielo impediva, con il risultato che le giornate trascorrevano senza che ci fosse, almeno apparentemente, alcune evoluzioni nei fatti.Comunque, a scanso di equivoci, disse al maggiordomo di far seguire da qualcuno gli spostamenti di Ugo.

  A rompere questa situazione inerziale pensò, qualche tempo dopo, indovinate cosa?... la cartolina rosa del servizio militare con cui Ugo veniva chiamato alle armi, servizio militare a cui finora era sfuggito a causa degli studi universitari. Fu lo stesso maggiordomo a consegnarla ad Ugo, prima di pranzo, nella solita sala in cui era presente anche la madre. Ugo la lesse, si rabbuiò in volto, se la mise in tasca, ma non disse niente per tutto il pranzo, ritirandosi, anzi, subito dopo nella propria stanza. Incuriosita, Teresanna, dopo che la servitù ebbe finito di sparecchiare, e prima di lasciar andare il maggiordomo, gli domandò cosa ci fosse scritto nella cartolina. Il maggiordomo, facendo ricorso a tutta la sua diplomazia per non lasciar intendere che sapesse di più di quel sembrava, disse che non fosse sicuro, ma gli pareva ci fosse scritto che Ugo era chiamato alle armi per il lunedì entrante e che pertanto doveva recarsi al distretto militare di appartenenza. Poi il maggiordomo si permise di aggiungere, con molta sibillina cautela, di come Ugo in quel periodo si fosse recato parecchie volte nella casetta vicino il pastificio.

Teresanna, al discorso del maggiordomo, non replicò e gli disse che poteva andare, ma dentro di sé era tutto un ribollire di varie sensazioni e sentimenti. C’era innanzitutto la rabbia perché ogni cosa sembrava sfuggire al suo controllo, poi il dispiacere da madre per Ugo che doveva andare sotto le armi a far servizio chissà dove, ancora l’orgoglio ferito per quel figlio scapestrato che osava prenderla a pesci in faccia ed infine persino una punta di invidia per…indovinate perchi? ...bravi! per la povera Marietta, perché in qualche modo osava tenere in pugno il cuore del figlio.

Cosicché la madre, nell’ultimo pranzo di famiglia della domenica, tentò anche di interrogare Ugo a proposito del suo comportamento, ma questi, forse perché aveva indovinato da certi segnali corporei la volontà di Teresanna, forse perché aveva già stabilito prima il comportamento da tenere, evitò accuratamente ogni tentativo di dialogo di quest’ultima, parlando talvolta col padre, talora con qualche zia, sempre presente in quei pranzi, soprattutto domenicali, e poi ritirandosi subito dopo nella sua camera.

  Insomma, Ugo aveva preso al volo l’occasione del servizio militare per tagliare definitivamente il cordone ombelicale con quella famiglia, ma soprattutto con quella madre che riteneva ormai troppo asfissiante ed insieme anche con quel paese che gli stava in qualche modo troppo stretto. In tutto ciò, la povera Marietta, anche se le era senza dubbio affezionato, non riusciva a rivestire un ruolo così decisivo da farlo restare per liberarla e combattere per la loro emancipazione, ma finiva col far parte della famiglia e del paese, ossia di tutto quello da cui sentiva la necessità urgente di allontanarsi (come avrete capito, anche lui, dunque, in fondo, era un debole, una vittima di Teresanna, come un po’ tutti in questa storia).

  Una volta partito Ugo per il servizio militare, tutto a palazzo ed in paese sembrò tornare nella solita quotidianità, ma, qualche tempo dopo, Teresanna venne a sapere dal maggiordomo di come Marietta fosse rimasta in stato interessante per la seconda volta, con il risultato che in quella occasione le venne quasi un mancamento per la sorpresa, la rabbia e l’ansia per ciò che si sarebbe dovuto di nuovo fare: quindi rapire il bambino alla madre (anche questa volta era un bel maschietto), spostarlo a palazzo con la scusa di farlo battezzare (gli fu imposto il nome di Mario) e tenere anche quest’altro “bastardino” tra le bocche da sfamare.

Nel frattempo, Ugo, nel servizio militare aveva trovato pane per i suoi denti, tutto ciò che ci voleva per dimenticare famiglia e paese (ed anche Marietta!): dopo il corso da ufficiale, dovette sorbirsi tutte le campagne militari del regime fascista, prestò servizio nelle colonie africane (come in fondo aveva desiderato da adolescente), partì anche come volontario in Spagna, per poi, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, essere mandato in tutti i ruoli da essa interessati. Andò quindi in Jugoslavia, in Ucraina per la disastrosa campagna di Russia, rientrando in Italia appena dopo l’8 settembre, in tempo utile, però, nell’iniziale “rompete le righe” per rientrare a casa, senza rimanere invischiato, e quindi essere costretto a schierarsi, nelle lotte tra partigiani e nazifascisti. Anzi, per sfuggire alle rappresaglie volute dai Tedeschi che cercavano militari italiani da spedire in Germania o fucilare sul posto, almeno finché non passò il fronte dalle nostre parti, ossia nella seconda metà del ’44,s’imboscò in una certa sua casa di campagna, confondendosi tra i contadini e aiutandoli anche (in fondo era pure suo interesse), a salvareprosciutti, salami, ventricine, animali da cortile e quant’altro dai rastrellamenti operati dai soldati affamati in fuga. 

Nel Dopoguerra, dunque la situazione era questa: Ugo era tornato a casa e si era riciclato, oggi si direbbe così, come, imprenditore agricolo, (ma allora era ancora un latifondista),ossia si occupava della coltivazione dei propri, numerosi terreni (tra iquali uno destinato a magnifico frutteto nella cui spettacolare fioritura, come quella alla quale si assiste annualmente nei ciliegi dei viali di Tokio, trovava talvolta conforto alla depressione che sembrava affliggerlo), coltivazione che avveniva però attraverso altri, con i forse iniqui contratti di soccida e di mezzadria (almeno finché questi ultimi rimasero in vigore);                         Marietta, invece, era sempre prigioniera nella casetta vicino il pastificio, invecchiata anzitempo per i dolori, le prepotenze subite e la mancanza di futuro, pertanto finì col morire non molti anni dopo (andando così, perdonatemi la libertà, direttamente in Paradiso); intanto al palazzo i due “bastardini” crescevano liberi e felici, serviti e riveriti, però, come figli del padrone di casa; Teresanna, infine, anch’essa molto in vecchiata, da brava nonna, come in fondo era con i nipotini, anche se “bastardini” li viziava e coccolava, e cominciava pure a riflettere su tutto il male che aveva fatto, specialmente da quando venne a sapere della morte di Marietta e  guardando, quindi, con occhi diversi la cupezza e la solitudine di Ugo (non si era più sposato, infatti, da quando era tornato e se ne stava spesso da solo, senza fare grande vita sociale),attribuite però, inizialmente, alla guerra a cui aveva partecipato.

Quando poi, dopo qualche annetto,Teresanna si ritrovò costretta a letto e quindi in balìa degli altri, con nulla da poter tenere sotto controllo in prima persona, nemmeno il proprio corpo, cominciò a pensare che quella fosse la punizione per ciò che aveva fatto e pertanto cominciò a chiamare ogni settimana il prete per raccontargli quello che le era successo, cercare un po’ di conforto nelle sue parole, con il desiderio neppure tanto nascosto di salvarsi almeno l’anima. Il risultato fu che morì qualche mese dopo, munita, però, di Confessione (il sacerdote forse le diede l’assoluzione considerando anche le tante sofferenze che stava patendo) ed estrema Unzione.

  Dopo il trapasso, si ritrovò quindi alla fine di una chilometrica ed indefinita fila di persone “d’ogni nazione, razza, popolo e lingua” (come recita l’Apocalisse) che dovevano entrare in Paradiso, passando prima, però, da ciò che pareva uno sportello di accettazione, in cui sembrava esserci, almeno a Teresannaparve così man mano che la fila si avvicinava molto, molto, molto lentamente, un uomo anziano con barba e capelli bianchi e lunghi somigliante tantissimo a San Pietro. La fila era ingrossata anche da tutti i morti in più che si erano verificati specialmentein quel drammatico Dopoguerra, tra gliscomparsi per le conseguenze delle bombe atomiche, quelli per le carestie e quelli per qualsiasi altra difficoltà di vita che ogni guerra, sempre una sicura sconfitta, porta con sé. 

Quando, dopo parecchi anni terrestri, arrivò il proprio turno di comparire davanti a San Pietro, questi, prima le diede un’occhiata distratta, poi, invece, dopo una sbirciatina ad un librone che aveva di fianco allo sportello (evidentemente il Grande Libro della Vita, o delle vite che insieme la formano), invitato a ciò da un angelo che gli aveva ritrovato la voce relativa a Teresanna, trasalì, avendo un moto d’istintiva ribellione, quasi schiacciando la stilografica con inchiostro indelebile che aveva in mano, anche se non lo diede troppo a vedere. San Pietro aveva trasalito perché il suo senso interno della giustizia (evidentemente non ancora raffinatissimo, nonostante i secoli e secoli di esperienza) non riusciva tuttora a capacitarsi di come una persona con una vita come quella di Teresanna, potesse andare in Paradiso, ma le sue perplessità rimasero senza risposta: d’altronde chi era lui per giudicare chi dovesse entrare in Paradiso e chi no? Proprio lui che aveva rinnegato per tre volte Cristo? E poi Teresanna aveva pure l’immaginario tesserino con il sigillo di salvezza apposto dalla “sua” chiesa a chi moriva con la dote dell’accoppiata Confessione ed estrema Unzione, anzi della triade Confessione, estrema Unzione e Viatico eucaristico.

 E allora?... allora si ricordò di avere ancora un potere discrezionale: quello di decidere i giorni di Purgatorio che ogni interessato si sarebbe dovuto sorbire (fra qualche decennio terrestre anche quello gli sarebbe stato tolto, per essere dato ad una commissione mista di Angeli e Santi); cosicché diede a Teresanna, un certificato, facendola così subito sparire dalla fila, dalquale risultava che la fine del suo periodo di Purgatorio sarebbe coincisa proprio con il giorno, mese ed anno della fine del mondo, insomma una data imprecisata che né San Pietro, né la Madonna, e neppure Cristo stesso conoscono, perché il Padreha riservato soltanto a Séla scelta di fermare lo scorrere del tempo (almeno così si legge in uno dei Vangeli),naturalmente fatti salvi, sempre, tutti i mezzi previsti dalla Chiesa stessa per abbreviare tale periodo (messe di suffragio, elemosine, preghiere e quant’altro).

Ma la famiglia di Teresanna avrebbe usufruito vitali mezzi? Chiedetevelo ed immaginate di chiederlo anche ad Ugo e soprattutto a Mario e al fratello, i due “bastardini”, che seppero, dopo la morte di nonna Teresanna, la verità sulle sue malefatte e soprattutto sulla sorte che aveva riservato alla loro povera madre, ovvero alla sfortunatissima Marietta, colpevole, forse, solo e soltanto di essersi innamorata dell’uomo sbagliato, nel momento storicosbagliato.

 

 

 

 

 

 

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