Ieri, 27 marzo, ricorreva la Giornata mondiale del Teatro. Istituita nel 1961 a Vienna, nel corso del IX Congresso mondiale dell'International Theatre Institute (Istituto Internazionale del Teatro, un’organizzazione internazionale non governativa, avente sede a Parigi e Shanghai, fondata a Praga nel 1948 dall'UNESCO e da illustri personalità delle arti di scena), la prima giornata fu celebrata nel 1962, su iniziativa del francese Jean Cocteau, versatile intellettuale novecentesco dalle molteplici capacità, era infatti poeta, saggista, attore, regista, drammaturgo, sceneggiatore, librettista, disegnatore. Sin da allora, per questa occasione, ogni anno, l’ITI invita una delle più importanti personalità del mondo delle arti di scena a esporre al pubblico di tutto il Mondo, delle proprie riflessioni circa il teatro e la cultura della pace.
E del fatto che “il Teatro sia luogo dove si costruisce la pace” ne è convintissima Giuliana Antenucci, attrice e regista cupellese, classe 1958, con la quale, ieri, abbiamo parlato della sua passione per il teatro, per la scena, per la regia, con un occhio attento all’attuale situazione che il Mondo tutto sta vivendo.
Come è nata la tua passione?
Fino al 1984 non pensavo al teatro, poi sono andata a Roma: ero una curiosa, volevo vedere altro, avevo bisogno di trovare altre cose, non mi bastava la mia vita. E con il teatro, che mi ha permesso di conoscere tanti personaggi, è come se avessi vissuto tante vite.
A Roma ho iniziato a frequentare la scuola di teatro “La Scaletta” e per me è stata un’esperienza forte: io, ragazza di Cupello, figlia di un falegname e di una casalinga, improvvisamente mi ritrovo in una grande città e soprattutto in un ambiente stimolante in cui talvolta mi sentivo piccola piccola. Avevo come “compagni di classe” Kim Rossi Stuart, la nipote di Alberto Moravia, la nipote di Ugo Tognazzi, c’erano anche Marco Giallini e Riccardo Polizzy Carbonelli.
Ciò che mi ha spinta è stata la curiosità, la perseveranza. Volevo conoscere sempre di più, per questo poi ho lasciato Roma e ho partecipato a un bando nazionale indetto dal Consorzio del Teatro pubblico pugliese, un ente della Regione Puglia, che aveva come finalità la selezione di venti ragazzi italiani da formare. Ci troviamo negli anni ‘80, anni magici, che erano caratterizzati da un’idea lungimirante di formazione. Alla base c’era la volontà di creare un gruppo di attori del Sud in alternativa all’accademia di Arte Drammatica che era l’unica riconosciuta. Sono rientrata, mi sono trasferita a Bari e ho cominciato respirare teatro a tutte le ore della giornata. Era una scuola completa, le lezioni avevano inizio alle ore 9, poi, dopo una pausa pranzo, si riprendeva per tutto il pomeriggio e la sera la si dedicava alle prove oppure a fare o vedere altri spettacoli.
Quando hai percepito la tua vena artistica e hai capito che il teatro avrebbe fatto parte della tua vita?
Dopo la vittoria del concorso ho capito che il teatro avrebbe fatto parte della mia vita, ma anche prima, quando ho “conosciuto” e studiato gli autori, grazie alla grande apertura mentale che lo studio rende possibile.
Dove e quando ti sei esibita per la prima volta?
A Roma, al Teatro “La scaletta”, in occasione dei tanti spettacoli che facevamo mentre frequentavo la scuola di recitazione.
Quali sono altri Paesi e luoghi in cui ti sei esibita ti sono particolarmente cari?
A parte Roma, mi sono esibita molto anche a Bari, poi a Salisburgo, a Siracusa… Ma a parte Paesi o città, ci sono luoghi magici che non sono nemmeno propriamente spazi teatrali. Non è lo spazio che fa il teatro, ho un ricordo particolare di spettacoli che si svolti in luoghi stranissimi, come ad esempio un ex manicomio criminale de L’Aquila, un posto chiuso da tanto anni e poi recuperato.
È la mia radice “paesana”: amo fare cose non propriamente in spazi teatrali per portare l’amore che ho per questa arte anche nei luoghi in cui non arriva o si crede non possa arrivare. Quindi vado a cercare e studiare luoghi particolari. Un luogo che ha una magia particolare, una magia che mi piace sfruttare, ad esempio, è la Sala multimediale “E. Mattei” del Comune di Cupello. Di recente, ho avuto modo di ritrovare la stessa magia in una ex chiesa sconsacrata a Chieti, in occasione dello spettacolo “Voci di Donne”, tenutosi il 21 marzo, Giornata dedicata alle vittime di mafia.
C’è un personaggio o uno spettacolo che ricordi in modo particolare e perché?
Ogni volta che faccio uno spettacolo mi infatuo del personaggio o dei personaggi. Li affronto tutti in maniera molto partecipata. È stato così per esempio nell’ultimo spettacolo a cui ho partecipato, “Voci di donne”: in questo caso, dare corpo alle emozioni delle donne ammazzate dalla mafia, donna a cui è stato tolto e spezzato tutto, dai sogni, alla vita, persino agli ideali, mi ha sconquassato l’anima.
Preferisci il ruolo da regista o da attrice?
Per tanto tempo ho preferito sempre e solo il ruolo di attrice, poi, alla mia prima regia sono impazzita di gioia. Non me ne è importato di non essere in scena ma vedere prendere corpo alla mia fantasia, alle mie idee, a tutto il mio studio, agli escamotage scelti per rendere una scena piuttosto che un personaggio, mi ha esaltato. Sì, preferisco fare la regista, proprio per tutto il lavoro che c’è dietro, lavoro finalizzato a coinvolgere lo spettatore, a chiamarlo all’attenzione. E la sfida, spesso, è anche farlo con un budget non così ricco; è una scommessa lavorare con pochi mezzi e vedere poi il risultato è davvero esaltante e appagante.
Ma ci sono anche momenti in cui ho voglia di dire certe cose, momenti in cui ho sentito e sento l’esigenza di far sentire la mia voce per scuotere con forti emozioni il pubblico: allora lì prendo parte alla scena.
Un tuo modello o fonte di ispirazione?
Sotto il punto di vista della recitazione, un mio modello è senza dubbio Anna Magnani. Per la sua passionalità ed emotività, il suo trasporto, la sua partecipazione emotiva, il darsi senza nessun tipo di remora.
La Giornata mondiale del Teatro fu istituita a Vienna. Cosa rappresenta per te questa città? Hai un ricordo che ti lega ad essa?
Ho un legame “teatrale” con Vienna e risale in particolare al 2018 quando, con il Teatro Marrucino di Chieti (ndR - per il quale Giualiana Antenucci è insegnante di Recitazione), ho organizzato la Settimana della Cultura austriaca (appuntamento fisso in cui ogni anno la settimana è dedicata alla cultura di un paese). In tale occasione “ho portato” in Italia un autore da noi sconosciuto ma famosissimo a Vienna: Johann Nestroy, un drammaturgo famoso, a cavallo tra l’’800 e il ‘900, uno dei massimi esponenti di un tipo di teatro particolarmente in voga nella Vienna di allora, un teatro leggero. Venni a conoscenza di questo artista per caso e decisi di valorizzarlo, dunque ho fatto tradurre per la prima volta in italiano “Il Talismano”, una sua farsa cantata in tre atti, e lo abbiamo messo in scena al Teatro Marrucino. Un evento promosso in collaborazione con l’ambasciata austriaca e altri studiosi, che ha permesso l’organizzazione di una settimana di studio sulla cultura austriaca e viennese.
Per ogni edizione della Giornata dedicata al Teatro, un esponente dell’arte di scena, con un messaggio espone proprie idee e riflessioni sul mondo di tale arte. Quest’anno, in occasione della 60esima edizione, l’ITI ha dato la parola al regista Peter Sellar. Dal suo messaggio, a noi ha particolarmente colpito la frase “Il teatro della visione epica, dello scopo epico, del recupero, della riparazione e della cura ha bisogno di nuovi rituali. Non abbiamo bisogno di essere intrattenuti. Dobbiamo metterci insieme. Abbiamo bisogno di condividere lo spazio e di nutrire lo spazio condiviso. Abbiamo bisogno di spazi protetti di ascolto profondo e di uguaglianza." . Cosa ne pensi? Sei d’accordo con lo spirito del messaggio?
Assolutamente sì, credo che mai come in questo periodo, questa Giornata abbia un’importanza fondamentale. Il Teatro è una forma d’arte che abitua alla socialità, anzi è l’unica forma d’arte che abitua alla socialità. A differenza, ad esempio, della pittura o della scrittura, il teatro è un’opera collettiva, in cui è fondamentale essere in sintonia con gli altri; perché un attore ha bisogno comunque di una guida, di una persona che si occupa delle luci, degli abiti di scena… ci si mette insieme e “si gioca” a trovare e costruire il personaggio.
In questo momento storico è la forma d’arte più necessaria per recuperare la coralità e la socialità che abbiamo perso a causa della pandemia. Bisogna trovare nuovi elementi per stare insieme. E il Teatro non è solo un edificio in cui stare insieme ma un luogo fatto di emozioni, per unire le persone. E soprattutto i bambini hanno bisogno di nuova coralità e socialità.
Cosa ti auguri per il futuro?
Più teatro e meno guerre, senza dubbio. Mi sento lacerata nell’animo per la situazione che il Mondo sta vivendo. Non riesco nemmeno a ipotizzarla una cosa tale, sia come donna che come artista mi sento portatrice di positività, di pace, di energia e mi sento schiacciata dalle notizie e dalle immagini che arrivano, come quella del teatro di Mariupol distrutto; vorrei poter fare molto di più.